Donya è una rifugiata afghana che vive a Fremont, California. A Kabul lavorava come traduttrice per l’esercito degli Stati Uniti ed è l’unica che è riuscita a fuggire. Ora lavora a San Francisco in una piccola azienda cinese dove confeziona biscotti della fortuna. Ma Donya non riesce a dormire e soffre di solitudine. Parla soltanto con i suoi vicini afghani e con la sua collega Joanna. Il suo vicino Salim, anche lui rifugiato, sapendo che lei è in lista d’attesa per una seduta dallo psicoterapeuta, le offre il suo biglietto per andare al suo posto.
Gli iniziali rimproveri del medico per questa prassi non ufficiale si scontrano con la testardaggine di Donya che vuole soltanto qualcosa che le permetta di dormire. Incominciano così le numerose sedute col dottor Anthony che faranno emergere il forte senso di colpa da sopravvissuta dovuto all’aver abbandonato una nazione invasa per trovare rifugio in quella dell’invasore. Inoltre, essere l’unica traduttrice donna non era stato neanche un vanto per i suoi genitori. Anzi, considerata lei una traditrice, la famiglia era stata oggetto di minacce. Ritiene ingiusto essere felice, innamorarsi mentre in Afghanistan la gente soffre. Anche quando, al lavoro, viene incaricata di scrivere le frasi contenute nei biscotti della fortuna, non riesce a trovare le parole “fortunate” proprio a causa di questo senso di malinconia e afflizione. Ma le conversazioni con Salim e con Aziz, il vecchio e saggio proprietario di un ristorante medio orientale, la incoraggiano a uscire da quella specie di vuoto che è diventata la sua vita.
La sceneggiatura del film è stata scritta dal regista Babak Jalali (iraniano) e da Carolina Cavalli (italiana), anche lei regista e sceneggiatrice, contribuendo ognuno con il proprio bagaglio culturale.
Consigliato da Giovanna della Casa delle Donne di Parma