“Scrivere vuole dire testimoniare, riesumare, scavare pozzi profondi, gallerie collegate fra di loro.” Sono pozzi profondi e antichi, quelli a cui fa riferimento Nila. In uno di questi, nell’ottocento, fu gettata la poetessa e filosofa Tahereh per aver rifiutato un matrimonio forzato.
Tra i dedali e i tentacoli di piccole vie che sfociano nelle strade ampie di Teheran, a pochi metri di distanza da quei pozzi, il fiume in piena della rabbia delle donne, al grido di “jin jyan azadi”, nel settembre del 2022 richiama un’intera popolazione alla rivolta. Anche chi si era rassegnato alla paura riesce a uscire dalle piccole ribellioni personali e segrete per aderire completamente a una lotta che ha tempi e sguardo di donne, di comunità LGBTQ+, di famiglie e di tutta la società civile. Le rivolte di settembre nascono da un fatto grave: l’arresto e il massacro della giovane donna di origini curde Masha Jina Amini per avere ‘male indossato’ lo jihab. Nila ci parla di esecuzioni sommarie che avvengono all’alba, in segreto, dopo un’ultima notte passata in celle di isolamento al freddo di correnti che rompono le ossa. Racconta di notti di paura in cui pensi che non ti uccideranno, in cui ti dici che vogliono solo spaventarti. Sono notti che precedono una sicura esecuzione, sicura e spietata come il regime che l’ha ordinata . Nelle strade di Teheran, nonostante roghi e fuochi e caccia alle streghe, non si placano corse e cortei nelle strade. L’autrice sceglie per compagna la poesia, quasi come consolazione alla crudeltà di un Paese privato nei secoli della sua libertà e costretto in dogmi patriarcali e religiosi che spaventano e impediscono il cambiamento.
Nila è lo pseudonimo utilizzato da una giovane militante iraniana per proteggere la propria identità ed eludere la censura e la traduzione di Vincenzo Barca esprime con profonda riconoscenza un racconto di lotta femminile intima e profonda , personale e collettiva.
Consigliato da Roberta delle Donne in Nero di Parma
