A fianco delle donne del Rojava

Tante donne al fianco delle sorelle del Rojava!
La Casa delle donne di Parma, insieme alle Donne In Nero Parma , si è attivata per raccogliere parte di queste firme e per diffondere la “Lettera aperta per una Siria democratica basata sulla libertà delle donne”!

Now is the time to strengthen the democratic forces in the Middle East, like the DAANES, and to stand with the women fighting for freedom, peace and democracy in Syria!

Per il diritto all’abitare

Appello al Signor Prefetto di Parma, ai Sigg. Sindaci, ai Cittadini, alle Associazioni dei proprietari, agli Enti, alle Istituzioni di Parma e del Parmense

Siamo le associazioni che sabato 11 gennaio a Parma, in piazza Garibaldi, hanno dato vita al presidio per ricordare e rendere omaggio a Miloud Mouloud, morto di freddo a Parma mentre dormiva all’aperto. Altre associazioni si sono qui aggiunte e vanno aggiungendosi.

Anche con questa lettera vogliamo segnalare che il numero di persone senza alcuna sistemazione alloggiativa dignitosa e sicura e alcun riscaldamento – cosa non secondaria viste le temperature di questi giorni – sta aumentando di giorno in giorno. Sono tanti. Le ragioni sono diverse, così come i profili delle persone che si trovano a subire questa grave violazione del diritto fondamentale alla casa: c’è chi è italiano e chi immigrato, chi viene da lunghe esperienze di grave marginalità e chi si trova per la prima volta a vivere in questa condizione, chi ha problematiche anche gravi di salute (pregresse o causate proprio dalla vita di strada), chi ha un permesso di soggiorno solido e solo qualcuno che è irregolare, c’è persino chi ha un lavoro e un reddito ma non riesce a trovare nessuno che gli affitti almeno una stanza e trovare un appartamento in affitto è impossibile: dorme all’aperto e da qui si reca al lavoro. Senza una casa si perde anche il lavoro. Il venir meno della casa è l’avvio del degrado.

Oltre coloro che dormono all’addiaccio dobbiamo considerare le tantissime persone che vivono in situazioni abitative estremamente precarie: ospitati da amici e/o connazionali in appartamenti sovraffollati, a volte a titolo gratuito, a volte dovendo corrispondere cifre anche molto elevate pur di non finire all’addiaccio; altri che non riescono ad avere un regolare contratto di affitto perché il proprietario preferisce percepire soldi in nero e non tassati, senza considerare non solo la violazione della legge ma anche le gravi ripercussioni che questo ha sull’ottenimento o il mantenimento dei documenti. Consideriamo anche ciò che è a tutti noto: il mercato non offre più appartamenti in affitto.

Dobbiamo ragionare in termini di umanità, di rispetto dei diritti fondamentali delle persone e anche di progressiva riduzione di discriminazioni e diseguaglianze. Questo ci richiede la legge. E se più eguali saremo anche più sicuri.

Abbiamo a riferimento un quadro giuridico preciso: la Dichiarazione universale dei diritti umani, 25, comma 1, “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, (..)”; il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Irescr), sottoscritto e ratificato dall’Italia, che pone obblighi al Governo italiano e al Parlamento. In particolare citiamo Irescr all’articolo 11: lo Stato italiano si è impegnato ad assicurare abitazioni adeguate a tutti coloro che sono presenti sul territorio. Impegno in troppi casi evidentemente disatteso. Perciò riteniamo pertinente rivolgerci al Signor Prefetto, anche in considerazione dei suoi poteri in caso di emergenza abitativa, quale certamente è la situazione sopra rappresentata.

Allo stesso tempo solo nel comune di Parma si conta un numero enorme di alloggi tenuti vuoti – addirittura di 16000 unità, secondo una stima autorevole – quando potrebbero essere utilizzati. Numeri altissimi si riscontrano anche in provincia (pur escludendo dal conteggio le seconde abitazioni).

Estendiamo l’appello anche ai Sigg. Sindaci e alle Associazioni di proprietari di alloggi.

Chiediamo anche ai privati, alle famiglie, agli enti religiosi e laici di mettere a disposizione posti letto e soluzioni abitative.

L’indisponibilità di appartamenti, persino di posti a pagamento in appartamento, e il lasciare che persone dormano all’addiaccio non è civiltà, è barbarie.

Le Associazioni:

Casa della pace
Ciac
Rete diritti in casa
Parma per gli altri
Associazione Al-Amal Aps
Mani
Coordinamento per la Democrazia Costituzionale
Donne in nero
Libera
Associazione Amicizia Italia Birmania Giuseppe Malpeli
Potere al popolo
Centro interculturale di Parma e Provincia
Tuttimondi
Coordinamento Pace e Solidarietà
Arte Migrante Parma
ASD La Paz Antirazzista
Azione Cattolica
Rete Kurdistan
Parma città pubblica
Gruppo Mission
Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII – Parma
Casa delle donne

SERVE UN’ALTRA NARRAZIONE SUI FEMMINICIDI

Lo scorso 24 ottobre è stato ritrovato il corpo di Marina Cavalieri, uccisa dal marito a
Sant’Andrea Bagni (PR) all’età di 62 anni.
Il suo nome si aggiunge alla lista dell’Osservatorio Femminicidi Lesbicidi Transcidi (FLT) in
Italia di Non Una Di Meno (NUDM) che fino al mese di settembre contava 90 casi solo nel
2024.
Proprio considerando i dati non possiamo non provare una profonda rabbia per le parole
scelte nei giorni scorsi dalla Gazzetta di Parma per titolare l’accaduto.
La scelta di queste parole ci dimostra nuovamente quanto alcune testate giornalistiche siano
ancora lontane dalla comprensione del fenomeno, primo passo necessario per poterlo
denunciare e, poi, cambiare.
Nello specifico, è necessario riconoscere la distinzione sostanziale tra una “crisi coniugale” e
una violenza domestica. Mentre nella prima si presuppone un rapporto di scambio tra
soggetti agenti con parità di potere, e dunque responsabilità, nella seconda il rapporto è
impari e di dominio, tra un soggetto agente maschile e un oggetto agito femminile, privato di
individualità e di ogni suo diritto, compreso quello alla sua stessa vita. I femminicidi sono
infatti la più evidente manifestazione della disparità di potere tra i sessi. Non operando
questa differenziazione tra crisi coniugale e violenza si produce un effetto distorsivo della
realtà, che non problematizza la violenza all’interno delle relazioni affettive e che rende
dunque impossibile l’individuazione di diritti e responsabilità.
Un altro aspetto problematico della narrazione è costituito dalla ricerca di dettagli privati e
dalla tendenza al sensazionalismo, come il rimando ai conoscenti che “ricordano la vittima”.
Esse violano il privato della vittima stessa oltre a non rispondere al criterio di utilità pubblica,
che invece dovrebbe essere essenziale in una notizia di cronaca.
Infine, parlare di “ricerca di un movente”, in caso di femminicidi, significa dimenticare che le
donne vengono uccise in quanto tali. Infatti è importante compiere un passaggio ulteriore e
comprendere che il controllo maschile sulla libertà femminile, e dunque l’iniqua distribuzione
di potere tra i sessi, non sono da ricercarsi in individui o casi isolati. Sono invece il prodotto
della cultura patriarcale, la quale proprio attraverso la loro ricorsiva e sistematica
legittimazione riproduce e rinforza se stessa permeando in modo capillare la nostra società.
Operare questa contestualizzazione permette di allargare lo sguardo, spostare il
femminicidio dalla singola vicenda privata ad un più strutturale e complesso problema
sociale, e dunque adeguare gli strumenti di contrasto al fenomeno alla sua complessità.
Uno tra questi è proprio il linguaggio, che lontano dall’essere neutrale si rivela tristemente
ancora un potente alleato del sessismo latente e responsabile della sua stessa riproduzione.
In questo circolo vizioso, se la stampa non rivoluziona lo schema narrativo,
problematizzandolo, si rende fautrice della riaffermazione della stessa cultura di cui il
femminicidio è il prodotto.

NO! Ancora una morte, ancora una narrazione sbagliata

La morte di Silvana Bagatta, uccisa con un colpo di fucile da suo marito, il 15 maggio, nella nostra città, non è una tragedia privata, ma un femminicidio.

Silvana Bagatta è, purtroppo, l’ennesima dimostrazione di quanto, in relazioni distorte e patologiche, il “possesso” possa portare un marito ad arrogarsi il diritto di prendere la vita della propria moglie. E allo stesso tempo è segno di quanto sia difficile misurarsi oggi con la malattia. Di quanto le strutture sociosanitarie e la società più in generale lascino i caregiver e tutte le persone che si prendono cura di qualcunƏ in una solitudine disperata.

Un problema sociale immenso di cui la politica non si assume il carico e di cui si parla troppo poco e quando se ne parla, lo si fa male. La morte di Silvana Bagatta, infatti, ci è stata raccontata in un modo sbagliato. Perché parlare di “gesto d’amore” o di “pietà” in casi simili è inaccettabile. Così come sono inaccettabili l’assunzione del punto di vista dell’omicida e le illazioni sullo stato di salute della vittima.

La narrazione del “gesto d’amore”, non fa che riprodurre l’idea atavica e consolidata che la cura sia “roba” da donne, capaci, in silenzio, di assumersi il carico indicibile del dolore dell’accudimento. Una capacità che pare non poter appartenere in uguale misura agli uomini. Dalle donne ci si aspetta il “naturale” sacrificio di sé nella cura dell’altrƏ, l’uomo invece, può compiere scelte diverse tra cui ricorrere al “delitto di pietà”. È evidente come siamo sempre e ancora dentro dinamiche di un potere maschile e un dovere femminile che devono essere scardinate.

Tanto più che i numeri parlano chiaro e ci dicono che la vicenda di Silvana Bagatta non è solo privatamente tragica, ma sintomatica di una cultura che ha la tendenza a negare che le morti come la sua siano da considerarsi femminicidi attribuibili ad una cultura patriarcale.

Inoltre, costruire articoli sulla dinamica, aggiungendo dettagli per particolarizzarla significa anche scegliere di inchiodarla alla dimensione privata per sottrarla al dibattito politico.

Per questo la Casa delle Donne si oppone alla narrazione di alcuni articoli usciti in questi giorni in merito al femminicidio di Silvana Bagatta, perché le parole sono politiche e sceglierle vuol dire schierarsi a favore o contro la riproduzione di stereotipi che sono alla base della violenza stessa.

E significa anche scegliere di non volerla cambiare.