di Elisabetta Salvini

I contenuti passano anche attraverso le immagini. Anzi, le immagini arrivano prima e con maggiore efficacia. E questa locandina ne è un esempio lampante. L’uomo che parlerà a Parma, mercoledì 13 febbraio, ha un viso, un nome e un cognome. La donna, di cui si deve decidere e programmare il destino, no. Per lei non è previsto alcun viso. Il suo corpo è tagliato per metterne in evidenza le due sole parti importanti: la pancia gravida e il seno che presto allatterà il futuro neonato o neonata (con ogni probabilità ipotesi meno auspicabile). Il resto non ha alcuna importanza, perché per il Popolo della famiglia la donna/persona non esiste. Esiste solo la donna/pancia e madre. Ed è a quella donna/pancia che questi convinti sostenitori della famiglia “naturale” vogliono dare un reddito, destinato, sia ben chiaro, unicamente alla risoluzione della denatalità. Del resto si parla di reddito di maternità e non di politiche di conciliazione né tanto meno di politiche di sostegno per le lavoratrici madri, di cui, invece, ce ne sarebbe un enorme bisogno. Un reddito che, va da sé – visto i tempi che corrono – verrebbe riconosciuto unicamente alle madri italiane, prive di reddito, che decideranno di dedicarsi in modo esclusivo alla famiglia.

Madri italiane, perché loro è il tasso di natalità più basso, ma soprattutto perché è di figli italiani che lo Stato ha bisogno. D’altra parte in questa proposta di legge si evince con chiarezza che le pance straniere non hanno valore e ancora meno ne hanno i figli da esse generate. Il reddito di maternità è dunque sia una risposta sia, e soprattutto, un chiaro invito rivolto a tutte le donne italiane: «sfornate figli e dimettetevi dal mondo del lavoro, alla vostra tutela, cura e protezione ci pensiamo noi uomini attraverso un assegno mensile».

È la concretizzazione di quel famoso “passo indietro” che già abbiamo sentito auspicare a gran voce dagli attivisti leghisti durante la puntata di Presa Diretta di lunedì 28 gennaio 2019. «Se si vuole che l’Italia progredisca, le donne devono fare un passo indietro», così tuonava Zelger, esponente della Lega a Verona, esplicitando un pensiero condiviso, probabilmente, dall’intero Popolo della famiglia. Dentro alla proposta di legge vi è l’idea che le donne debbano ripiegare ancora sulla casa, sulla cura, sulla maternità, accontentandosi di un reddito che toglierebbe loro qualsiasi dignità di lavoratrici e qualsiasi aspirazione ad una realizzazione diversa da quella dell’essere mogli e madri. L’idea che il problema della denatalità sia la principale tragedia italiana e che solo la difesa della vita e della donna/pancia e madre siano la possibile risoluzione.

Vi è nel reddito di maternità la cancellazione di anni di lotte delle donne e la volontà di disarticolare i diritti conquistati, per presentarli quali nemici delle donne stesse. Nell’esaltazione della maternità, nella celebrazione della casalinghitudine e nella cristallizzazione dei ruoli di genere – si parla di maternità e non di genitorialità poiché si ritiene che i due ruoli non possano e non debbano essere interscambiabili – si rileggono passaggi di un’epoca storica vicina, ma che pensavamo, sbagliandoci, di aver lasciato alle spalle.

Simone Beauvoir profeticamente aveva previsto quanto stiamo vivendo ora quando affermò: «Non dimenticate mai che basterà una crisi politica, economica o religiosa affinché i diritti delle donne siano messi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrete stare attente alla vostra vita». Lei ci aveva avvisate, ora sta a noi stare attente e lottare perché i nostri diritti non solo non vengano cancellati, ma nemmeno messi in discussione. Giù le mani dalle donne.