Margarethe von Trotta è un’esponente del nuovo cinema tedesco. Laureata in filologia romanza esordisce nel cinema come attrice per Rainer Werner Fassbinder e per Volker Schlöndorff (che poi sposa nel 1969). Il suo sguardo è sempre acutamente presente e indagatore sulla Germania del ‘900, la sua storia e le persone che hanno vissuto in quel contesto storico politico, anche se lei stessa dice: “la Germania di oggi non so com’è perché ho vissuto quarant’anni a Parigi.”
Questo suo film è del 2012 e tratteggia, ancora una volta, il ritratto di una grande donna: Hannah Arendt. Ebrea, filosofa, scrittrice, fuggita dal nazismo, trova rifugio negli Stati Uniti. Lì, nelle università di Berkeley e Princeton, insegna e scrive la maggior parte dei suoi libri nei quali analizza le società totalitarie e le azioni che possono essere messe in campo per contrastarle (Vita Activa). In quegli anni segue a Gerusalemme il processo ad Adolf Eichmann, comandante delle SS e responsabile della soluzione finale. Queste sue cronache sono poi raccolte in ” La banalità del male”, libro che le dette grandissima fama ma la espose a critiche feroci, soprattutto in Israele. Su questa fase della sua vita si sofferma grandemente il film. Ciò che commise Eichmann era mostruoso ma quelli che commisero queste azioni erano pressoché normali, né demoniaci né mostruosi. Così afferma Arendt. E la regista, ancora una volta, racconta quanto è amaro bere fino in fondo il calice della storia del novecento. E ci avvisa su quanto sia difficile mantenere la giusta distanza tra immedesimazione con l’assassino e il riuscire nel contempo a giudicarlo. Perché il male non è mai assoluto ma solo estremo. Questo è un film molto bello e recitato magistralmente da Barbara Sukova. Guardatelo!
Consigliato da Lina della Casa delle donne di Parma