di Margherita Becchetti

“Sono bestie”, “Castrazione chimica”, “Tornerò con la ruspa”… Ad ogni caso di stupro, femminicidio o violenza contro una donna, sui media rintronano i commenti di Matteo Salvini, violenti, perentori e risolutivi, soprattutto se gli autori sono uomini immigrati.

Commenti che mirano a rassicurare la pancia dell’Italia più impaurita e più abituata alle reazioni facili, comode, che sollevano la coscienza e che, infatti, trovano molti consensi sui social media, sostenute dall’indignazione profonda che ci coglie di fronte a crimini di questo tipo.

Eppure queste reazioni facili rimangono illusorie perché non aiutano a capire quale sia il problema che sta dietro alla violenza. Se essa fosse opera di individui malati, patologici, devianti, allora potremmo dire che castrando quegli uomini, punendoli severamente avremmo risolto il problema. Ma noi sappiamo bene che nel nostro paese la maggior parte delle violenze sono compiute da parenti, datori di lavoro, fidanzati respinti, ex mariti. Sappiamo bene che la violenza è qualcosa che riguarda comportamenti diffusi degli uomini.

E allora io non mi sento per nulla rassicurata da uomini come Salvini e dalle loro posizioni nei confronti di stupratori e violenti, e non solo perché il nostro vicepremier usa smaccatamente i casi di violenza per la propria ascesa politica. Non mi sento rassicurata perché ‒ ergendosi a uomo forte e per bene che vuole punire duramente i “cattivi”, comunicandoci di essersi schierato in modo determinato contro la violenza ‒ Salvini non fa che trasformare la violenza da problema sociale che mette in discussione gli uomini a problema che riguarda solo alcuni uomini, malati e devianti.

E quando un uomo pensa che sia sufficiente proteggere le donne punendo i “cattivi” significa che non è spinto a riflettere sul ruolo del maschio in una società in trasformazione qual è la nostra.

Tutto ciò rafforza due convinzioni profonde che stanno alla base della violenza: innanzi tutto dice agli uomini «non preoccupatevi, la violenza non vi riguarda, riguarda solo i criminali e noi li metteremo in prigione. Voi, quindi, non dovete mettere in discussione la vostra sessualità».

In secondo luogo, proponendosi come difensore delle donne, Salvini ripropone uno stereotipo pericoloso e difficile da estirpare nel nostro paese: quello delle donne come soggetti bisognosi di tutela e dunque anche di controllo. In questo modo, ci propone e ripropone quel principio gerarchico nella relazione tra i sessi che è proprio ciò che sta alla base della violenza, non la combatte affatto.

La castrazione chimica come risposta alla violenza corrisponde all’idea che in essa ci sia una patologia e questo ci fa avere una percezione totalmente distorta del problema: gli uomini violenti, infatti, non hanno patologie o disfunzioni ormonali ma sono uomini che hanno un modello di sessualità estremamente legata all’esercizio del potere e al dominio sulle donne. Il problema, allora, non è curarli farmacologicamente ma cambiare culturalmente il loro immaginario della sessualità e mettervi al centro il grande rimosso che è e rimane ‒ nonostante le battaglie degli ultimi decenni ‒ il tema del desiderio femminile.

Se un uomo usa droghe per rimorchiare e disporre di una ragazza, se abusa della propria moglie perché deve dire sempre di sì, se mette le mani addosso a una ragazzina, se ricatta sessualmente la dipendente perché non può dire di no, se la costringe con la violenza a fare sesso… se un uomo cede a comportamenti di questo tipo è perché, fondamentalmente, pensa che esista solo il suo desiderio e che la donna sia un oggetto passivo che egli deve comprare o costringere.

Solo quando tutti gli uomini scopriranno il desiderio femminile, quando scopriranno quanto sia più gradevole e gratificante incontrare una donna che mette in gioco attivamente il proprio desiderio, senza essere costretta, saremo all’inizio di quel grande cambiamento culturale e antropologico che è e rimane l’unica via per sconfiggere e metterci tutte al riparo dalla violenza.