Le poete e i poeti si sono sempre interrogati sulla vita che scorre e sull’età che avanza. Così anche Vivian Lamarque ci meraviglia con questo suo libro in cui indaga sull’amore da vecchia con dolcezza, ironia e tanta gentilezza. Lo fa iniziando col tratteggiare un piccolo sommario poetico per noi lettori: “Quale amore in queste poesie?/ Per la bella d’erbe famiglia e d’animali/ Per la famiglia di cari nipoti e cara figlia/ Per il treno e il tempo (che si somigliano tanto)/Per il cinematografo (e le sue sale scomparse)/ Per la poesia (non lasciarmi mai alfabeto)/ Per qualche fuori tempo innamoramento (per due o tre di voi che non lo sanno)/ E per me stessa naturalmente (“io sono autobiografica”, “io non sono morta io sono nata”). E così, seguendo questa traccia, dedica ogni capitolo ad un suo amore: cinema, foglie, poesia, ecc… insomma ci comunica che “mutato nomine, de te fabula narratur” (Orazio).
La poesia di Vivian Lamarque è, come sempre, lirica, semplice, leggibile, vicina e naturale. Freschissima. E’ ricca di impressioni e di presagi, di nostalgie e memorie. Come sempre la poeta utilizza una sottile ironia. Un tono che rende il mondo più accettabile e abitabile, ma quello che colpisce dolorosamente è che in queste poesie è soffusa anche una gran malinconia perché la vita è breve, gli amori finiscono…
Gli affetti restano e sono il nostro nutrimento quotidiano: “E’ il tempo che passa/ o siamo noi a passare? Passa tu, tempo, dai! / Noi lasciaci ancora un poco usare/ il bel verbo restare”.
Consigliato da Lina della Casa delle donne di Parma