1972: il presidente Idi Amin Dada ordina l’espulsione dall’Uganda delle minoranze etniche originarie dell’Asia meridionale, concedendo loro 90 giorni per lasciare il paese. Amin accusa una parte della popolazione asiatica di slealtà, di non integrazione e di praticare illeciti commerciali: affermazioni che i leader indiani contestano. Lui però difende la sua decisione sostenendo che sta restituendo l’Uganda agli ugandesi. In quel momento vivevano in Uganda circa 80.000 persone di origine sud-asiatica discendenti da persone emigrate durante il periodo coloniale britannico (fine del XIX secolo) e appartenenti quindi alla terza generazione, nata e cresciuta in Uganda. 1990: l’indiano Jay, insieme alla moglie Kinnu e alla figlia Mina, costretto a partire nel ’72 abbandonando tutti i suoi beni, ha ricominciato una nuova vita nel Mississippi. Ma non riesce a rassegnarsi e continua a scrivere regolarmente lettere indirizzate al nuovo governo di quel Paese per riottenere nazionalità e proprietà. Nel frattempo la storia d’amore tra sua figlia Mina e il giovane afroamericano Demetrius fa riemergere vecchie tensioni e rancori tra indiani e neri. Jay, profondamente indiano e profondamente africano, è completamente incapace di superare le barriere di classe e di razza e la contrarietà delle rispettive famiglie spingerà i due giovani a fuggire insieme.
Il film, che sconta un eccesso di romanticismo, ha però due meriti: mantiene un punto di vista neutrale, non addossando colpe all’una o all’altra comunità e racconta una vicenda per molti versi ignota, almeno all’epoca dell’uscita del film, quale l’espulsione degli indiani dall’Uganda.
Mira Nair (Bhubaneshwar 1957), regista e sceneggiatrice indiana, vive e lavora a New York. Attivista di lunga data, ha fondato a Kampala, in Uganda, un laboratorio di cinematografia chiamato Maisha, che, a partire dal 2005, ha formato numerosi giovani registi dell’Africa orientale, animati da un sentire comune: “se non siamo noi a raccontare le nostre storie, chi altro lo farà?”.
Consigliato da Giovanna della Casa delle Donne di Parma