“Jin Jyan Azadi” (donna, vita, libertà) è un grido che dalle donne curde risuona a tutte le donne del mondo che chiedono libertà, democrazia, diritti. Sarebbe molto piaciuto e lo avrebbe fatto proprio Joyce Lussu. Lei era nata nel 1912 col nome di Gioconda poiché l’impiegato dell’anagrafe aveva rifiutato di trascriverla con un nome straniero, ma rimase Joyce per sempre. Figlia di una famiglia cosmopolita, antifascista e di ascendenze nobili, visse i primi anni della sua vita in Svizzera, dove la famiglia si era rifugiata dopo che il padre e il fratello erano stati pestati dai fascisti. Successivamente si trasferì ad Heildelberg e qui vide nascere i prodromi del nazismo. Donna appassionata, partecipò col fratello al movimento di Giustizia e Libertà dove conobbe Emilio Lussu, il grande amore della sua vita. Con lui condivise la militanza nella resistenza e tutte le tribolazioni che dovettero affrontare. Dopo la Liberazione partecipò alla fondazione dell’UDI ( Unione Donne Italiane) e partecipò in prima persona alle lotte contro il colonialismo e l’imperialismo. Tradusse poeti di tutto il mondo, spesso provenienti da culture orali. Tradusse il turco Nazim Hikmet e con lui conoscerà il problema curdo a cui si interesserà vivamente. Era poeta e si occupava attivamente dei giovani. Sempre con entusiasmo e tanto, tanto amore. Scrive Silvia Ballestra nel suo bel libro: “Laggiù, in una bella casa di campagna tra Porto San Giorgio e Fermo, vive una donna formidabile, saggia e generosa, ricchissima di pensieri, intuizioni, toni, bellezza, forza, argomenti, intelligenza. La mia Joyce, la mia Sibilla.”
Consigliato da Lina della Casa delle donne di Parma