CIRCEO – Serie tv, regia di Andrea Molaioli – 2022 (disponibile su RaiPlay) [SERIE TV]

San Felice Circeo, litorale pontino: nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975, tre giovani della Roma bene, Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido, torturano per più di un giorno e una notte, fisicamente, psicologicamente e sessualmente, Rosaria Lopez, 19 anni, e Donatella Colasanti, 17, due ragazzine della periferia attirate dai tre convinte di trascorrere un pomeriggio al mare e andare a una festa. Rosaria muore, Donatella invece sopravvive fingendosi morta. Il processo inizia nell’estate del 1976. La famiglia Lopez rinuncia a costituirsi parte civile dopo aver accettato un risarcimento di cento milioni di lire dalla famiglia Guido. Donatella Colasanti sceglie di andare a processo rappresentata dall’avvocata Tina Lagostena Bassi e sostenuta da centinaia di femministe. Questo il fatto di cronaca. Al regista della serie tv va il merito di aver incentrato la narrazione sul successivo iter processuale, evitando la trappola della pornografia del dolore in cui spesso si rischia di cadere. Perché il massacro del Circeo è stato più di un fatto di cronaca. È stato il caso giudiziario che ha cambiato il modo di percepire la violenza degli uomini sulle donne in un paese che, nel 1975, continuava a considerare il reato di stupro come un’offesa alla moralità pubblica anziché come una violenza ai danni del singolo. Ed è stato così fino al 1996. La magistrale interpretazione di tutto il cast, però, e le immagini di repertorio finali di Donatella e dei suoi occhi che cercano giustizia comunicano tutta la sofferenza vissuta insieme a lei per chi, come chi scrive, c’era all’epoca dei fatti. A chi non era ancora nato/a resta l’eredità di una donna abusata ma coraggiosa e combattiva da non dimenticare.
Consigliato da Giovanna della Casa delle Donne di Parma

IL MONDO DEVE SAPERE. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria, di Michela Murgia(Einaudi 2017) [LIBRO]

Il libro è il racconto dell’esperienza di Michela Murgia presso un call center di Oristano dove nel 2006
lavora per un breve periodo con un contratto a progetto: “230 euro lordi al mese e 6 euro lordi per
ogni appuntamento”. 30 giorni che le bastano per rendersi conto di quanto quel luogo di lavoro
profondamente ingiusto sia solo uno degli esempi da aggiungere a una condizione molto più diffusa
e da lei sperimentata per anni. In un’intervista dirà: “Non sono soddisfatta della piega che sta
prendendo la cosa ossia che il call center sia stato assunto a paradigma del precariato perché di solito
sono situazioni più prestigiose a vivere di precarietà. E questo aggrava la cosa per chi pensa di avere
raggiunto in questo modo il massimo delle sue possibilità”.
Uscito in prima battuta sotto forma di blog, il testo è volutamente scritto con un’ironia feroce,
sfrenata, attingendo a un materiale vivo che l’autrice acutamente racconta, in un momento in cui la
scrittura le sembra l’unico mezzo a disposizione per rispondere a qualcosa “contro la quale
nessun’altra reazione sembra possibile”. Dei vari personaggi a cui assegna nomi inventati ma che
rendono l’idea, Hermann, Sigmund, Paperina, Shark, BillGheiz, Murgia non ha pietà. A differenza di
quanto invece ha nei confronti di chi i ricatti li subisce, in quel luogo in cui le interviste manipolatorie,
il mobbing, i raggiri psicologici sono all’ordine del giorno. Divertente e dal linguaggio scorretto, non
piacerà a chi vuole moderazione.
A undici anni dalla prima pubblicazione di queste pagine, Murgia scrive: “Rileggere oggi le pagine
che scrissi può strapparmi un misero compiacimento per la capacità che avevo di ridere davanti al
baratro, ma solo questo perché, nel frattempo, non ha smesso di essere vero che la mia generazione,
insieme a pensione, diritti e stabilità, in quegli scantinati invisibili alla politica, si è persa, giorno dopo
giorno, anche il futuro”.
Consigliato da Letizia della Casa delle donne di Parma

VOGLIO UNA DANZA di Sara Ferraglia – Giuliano Ladolfi Editore 2023 – [POESIA]

Sara Ferraglia è una donna, una femminista, una pacifista, ma soprattutto una poeta. È’ stato molto bello assistere al suo crescere e al veder riconosciuto il suo valore. La sua è una poesia che, come dice lei, trae linfa dal grande albero delle poete liriche che ci sono maestre: Emily Dickinson, Antonia Pozzi, e via via fino a Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque. La sua sembra una poesia facile, in rima, ma è soprattutto una poesia lieve, come il battito d’ali di una farfalla. È semplice ma non semplicistica, così come lo erano le grandi poesie di Saba e di Caproni. Ci prende il cuore. Le donne, i bambini, la natura, la pace e la guerra sono i suoi temi e ce ne fa regalo. E noi lo accettiamo con amore ricambiandola di tanto bene.
Consigliato da Lina della Casa delle donne di Parma

TOUCHÉES (titolo tradotto in italiano IN GUARDIA!) Di Alexandra Lamy (2022) [FILM]

“Mi piaceva l’idea della scherma perché è uno sport che si pratica con una maschera che serve a proteggersi e a proiettare un’immagine diversa di sé sull’altro”.
Oltre a trattare il tema degli abusi e delle relazioni tossiche, il film, disponibile su Raiplay, è una vera e propria celebrazione dell’amicizia tra donne e dell’importante cura rappresentata dallo sport. Il ruolo primario, infatti, è affidato alla scherma, uno sport di nicchia che spinge, però, le protagoniste a misurarsi con se stesse e con l’avversario interiore.
Lucie, vittima di violenza domestica, si trasferisce col figlio Léo nell’appartamento messole a disposizione dal centro a cui si rivolge in un paesino nel sud della Francia. Per ritrovare fiducia in se stessa e autostima si iscrive a un corso di scherma, frequentato da altre donne abusate. Qui incontra Tamara e Nicole con le quali nasce un intenso e profondo rapporto di amicizia. A poco a poco, le donne ritrovano in sé maggior sicurezza, grazie anche alla presenza della terapista Eva che le accompagna in questo percorso e durante gli allenamenti. E quando l’ex marito di Lucie la troverà e proverà a portarle via il figlio, le tre donne affronteranno questa minaccia cercando insieme le prove per denunciarlo come persona violenta e pericolosa per il figlio stesso.
Consigliato da Giovanna della Casa delle Donne di Parma

DETRANSITION, BABY di Torrey Peters, Mondadori 2023 [LIBRO]

Nel 2021, Torrey Peters, scrittrice transgender americana, ha vinto con questo romanzo il PEN/Hemingway Award per la miglior opera prima. Famiglia, femminilità e maternità sono al centro delle vicende che, in una New York caotica e complicata, coinvolgono tre giovan* alle prese con una decisione importante. C’è Reese, donna transgender che sente forte il richiamo della maternità e c’è Ames, che ha avuto una relazione con lei nel periodo della transizione ma che, dopo la rottura, ha intrapreso il processo inverso. E c’è Katrina, donna cisgender, suo capo e attuale amante che si ritrova incinta. Che fare? Per Ames, che ha sempre considerato Reese la sua famiglia, coinvolgerla in un’ipotesi di futuro è inevitabile; così come lo è per lei lasciarsi sedurre dall’idea di poter condividere l’esperienza della maternità. Per Katrina invece, che ha alle spalle un matrimonio fallito e un aborto sofferto, potrebbe essere l’occasione per trasformare, allargando l’orizzonte delle possibilità, la propria vita. Tiene ad Ames e Reese, che ha accettato di conoscere, le piace. Una “detransizione” anche per lei?
Intervistata in occasione dell’ultimo Salone del libro di Torino sulla scelta del titolo, l’autrice, che utilizza il termine per descrivere l’esperienza di tutti e tre i personaggi, ha risposto: “… riguarda tutto ciò che comporta impegnarsi per cambiare sé stessi…Accettare il fatto che si possa cambiare idea rispetto al proprio genere o rispetto al tipo di famiglia che si sceglie non dovrebbe essere oggetto di colpevolizzazione”.
Alla fine del romanzo ci si ritrova con più domande che risposte. Come se per l’autrice l’importante fosse mettere a disposizione di chi legge il racconto di una realtà interpretata fuori da ogni cliché e a noi toccasse trovare una soluzione.
Consigliato da Letizia della Casa delle donne di Parma

FEMMINILI SINGOLARI. IL FEMMINISMO E’ NELLE PAROLE di Vera Gheno – effequ 2021 [LIBRO]

Femminili singolari è un saggio di Vera Gheno, sociolinguista, traduttrice e autrice.
Partendo dall’esperienza personale di gestrice dei social dell’Accademia della Crusca ha raccolto le critiche più frequenti e le ha decostruite dimostrando l’infondatezza e il maschilismo di certe convinzioni linguistiche.
Le resistenze all’uso dei nomi professionali al femminile nascono apparentemente da motivazioni linguistiche: in realtà un’analisi più approfondita svela che sono di tipo culturale.
Alcuni utenti hanno definito il femminile “antisonante, abominevole, e offensivo per la lingua Italiana”. Ma per quale motivo per alcune professioni è accettato (impiegata, cassiera, maestra) e per altre, come sindaca, avvocata, architetta, ingegnera, no?
La questione è così insidiosa che persino molte professioniste preferiscono definirsi al maschile, il femminile è considerato meno “autorevole“ e in molti casi discriminante.
L’avversione istintiva verso alcune parole, per cacofonia o per estetica, è frutto di pregiudizi e stereotipi secolari ed è priva di fondamenta razionali.

Femminili singolari è un manuale che fornisce tutti gli strumenti per smentire le argomentazioni fasulle confermando, commento dopo commento, quanto le resistenze poco abbiano a che fare con il dizionario.
“La lingua non è ‘chiacchiera’: è il mezzo che noi, in quanto esseri umani, abbiamo per decodificare la realtà. Negare che sia collegata a questioni sociali e politiche sarebbe da veri sciocchi: la lingua vive della relazione continua con ciò che deve descrivere”
“Le questioni linguistiche non sono mai velleitarie, perché attraverso la lingua esprimiamo il nostro pensiero, la nostra essenza stessa di esseri umani, ciò che siamo e ciò che vogliamo essere. La lingua non è un accessorio dell’umanità, ma il suo centro.”
Consigliato da Denise della Casa delle Donne di Parma

​​FUMETTISTE ARABE – Venti di rivolta (al femminile) di Lizzie Treu e Eloïse Fagard (2021) – in francese, sottotitolato [DOCUMENTARIO]

Questo breve documentario, visibile sul canale ‘arte’, racconta la “rivolta personale” di 4 fumettiste arabe decise ad esprimere le proprie idee sul mondo partendo dal vissuto e utilizzando lo strumento a loro più congeniale: il disegno. Per alcune una carriera iniziata a ridosso delle primavere arabe; per tutte una sorta di enpowerment femminile ottenuto “matita alla mano”. Tunisi, Beirut, Casablanca, il Cairo sono le loro città e qui la macchina da presa le segue entrando nei loro atelier, mostrandole al lavoro, filmandole nei momenti di socialità e le accompagna mentre passeggiano nelle città distrutte dalla guerra o mentre sostengono il progetto di case editrici indipendenti pensate per dare una base più solida alle loro idee e al fumetto stesso.
La tunisina Nadia Khiari, nel 2011, dopo aver vissuto per 23 anni sotto la dittatura, si accorge di potersi finalmente esprimere senza censura, di poter rinascere “come un neonato al suo primo vagito”. La libanese Lena Merhej, madre tedesca, padre libanese, nata in Germania ma cresciuta a Beirut durante la guerra civile, assiste alla distruzione della sua città e la racconta per “trovare una logica a tutto quel caos”. La marocchina Zainab Fasiki, femminista e attivista in una società conservatrice, ispirata dal corpo femminile nudo che scopre da piccola andando al hammam, si rifiuta di nasconderlo e crea una supereroina senza veli che fa del corpo un messaggio e si prende la sua libertà. L’egiziana Deena Mohamed, sedicenne durante la primavera araba, si rende conto di avere delle opinioni e di volerle esprimere. Inventa così il personaggio di Qahera, una supereroina con abaya e niqab che utilizza i superpoteri per difendere le donne. Una rivolta personale che è anche collettiva e capace di superare i confini.
Consigliato da Letizia della Casa delle donne di Parma

LA GIOIA AVVENIRE di Stella Poli – Mondadori, 2023 [NARRATIVA]

“Le cose non andrebbero dette mai. Creano – socchiuse – una serie di connessioni, implicature, filamenti viola e vischiosi come le foto delle sinapsi nei sussidiari delle elementari. Portate a esistenza, messe in mezzo, sono neonati tremendi, fagotti color arrosto dallo sguardo implacabile. Una cosa raccontata è tracotante: esige, estorce quasi”.
Con un linguaggio poetico e, al contempo, con una prosa tagliente che cattura subito l’attenzione del lettore, l’autrice dà voce a Sara, una psicoterapeuta, che racconta all’avvocato la storia di una sua paziente, Nadia, alla ricerca di una giustizia tardiva. Ha quattordici anni Nadia quando un amico del padre inizia a corteggiarla. Figlia unica, di famiglia medio-borghese, è una ragazzina infagottata nelle sue felpe larghe e sformate per nascondere una femminilità già prorompente. La tecnica di approccio è molto lenta, è fatta di sguardi fugaci, di parole dolci e teneri sms di cui Nadia si sente quasi lusingata e, finalmente, “vista”. Lei stessa afferma: “vorrei poter dire che mi ha colta di sorpresa, mi ha sopraffatta con la forza, mi ha picchiata”, ma è salita in macchina con lui di sua spontanea volontà e ormai era troppo tardi. Alla storia vera e propria si alternano rielaborazioni oniriche, salti temporali senza mai perdere di vista la sofferenza sorda della protagonista. Poli non usa mai termini crudi o descrizioni particolarmente violente. Tuttavia, con la sua prosa efficace, ci trasmette tutto il dolore di Nadia e i suoi dubbi: come può dimostrare che non aveva capito? Come far credere che aveva avuto fiducia nell’amico di suo padre?
Stella Poli (1990) è nata a Piacenza ed è assegnista di ricerca in linguistica italiana presso l’Università di Pavia.”La gioia avvenire” è il titolo di una poesia di Franco Fortini.
Consigliato da Giovanna della Casa delle Donne di Parma

LA FIGLIA OSCURA di Maggie Gyllenhaal (2021) [FILM]

Leda, una docente di letteratura comparata, arriva in vacanza su un’isola greca. Vuole approfittare del silenzio e della natura per dedicarsi ai suoi studi. Un sogno che si realizza e che però viene bruscamente interrotto dall’arrivo di una chiassosa famiglia che, senza troppi riguardi, s’impossessa della spiaggia, invadendo prima il suo spazio e poi la sua mente.
Di quel gruppo minaccioso attirano la sua attenzione una giovane madre e la figlia, protagoniste di un rapporto difficile in cui Leda si riconosce e che la riporta al passato e ai sentimenti contrastanti, mai del tutto rinnegati, provati nelle prime fasi della sua maternità quando le figlie, togliendole forze e respiro, erano diventate anche per lei un insopportabile impedimento.
“La nostra cultura” ha dichiarato la regista Maggie Gyllenhaal nel corso di un’intervista “ha stabilito una gamma ristretta di sentimenti che una madre può concedersi: sono tutti pronti a giudicare se si esce da questo spettro. Io ho due figlie, essere madre è la cosa più grande che ho fatto ma penso che non esista donna che non abbia desiderato andare via da casa, sbattere la porta e lasciare i figli”.
Il film è imperfetto ma coinvolgente. Ed è indubbio che il tema affrontato, presente ad ogni latitudine, quello della maternità contrapposta alla realizzazione di sé, con i suoi dubbi e sensi di colpa, sia importante e poco dibattuto. Che Gyllenhaal, affascinata dalla lettura dell’omonimo romanzo di Elena Ferrante, lo abbia scelto per la sua opera prima e affrontato senza pregiudizi le rende merito e non fa che confermare la sua fama di attrice impegnata e poco convenzionale. Ottima la scelta del cast.
Il film ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura non originale al Festival del Cinema di Venezia del 2022.
Consigliato da Letizia della Casa delle donne di Parma

“FLANEUSE. Donne che camminano per la città a Parigi, New York, Tokyo, Venezia e Londra” di Lauren Elkin – Ed. Einaudi 2022. [NARRATIVA]

Il flâneur, vale a dire il camminatore urbano, è simbolo di libertà e autodeterminazione. Per il mondo intero, gli eroi camminatori erano solo uomini, come Poe o Baudelaire. La maggior parte dei dizionari francesi non riportava nemmeno il termine flâneuse. Durante l’ammodernamento ottocentesco di Madrid, solo una strada venne intitolata a una donna. Il termine flâneuse (passeggiatrice) ancora oggi viene attribuito alle prostitute e non alle donne che camminano nel mondo. Lauren Elkin non accetta questa situazione e nel libro ricostruisce una genealogia letteraria, storica, culturale di donne che con le strade cittadine hanno avuto un legame profondo, creativo ed emotivo. La scrittrice comincia il suo viaggio dai sobborghi di New York, dove è nata, spostandosi nella Parigi rivoluzionaria, in cui George Sand si spoglia dei vestiti e cappellini per destreggiarsi tra barricate e omnibus in stivali e redingote. Passa poi per Londra, sulle orme di Virginia Woolf che attraversa la città alla ricerca di una matita, e di nuovo nella Parigi del 1919 dove Jean Rhys diventa una perfetta «ragazza della Rive gauche». Si giunge poi a Venezia, dove Sophie Calle pedina il misterioso Henri B. per fotografarlo di nascosto, e poi a Tokyo, e ancora a Parigi, incontrando la Cléo di Agnès Varda. Infine torna a casa, a New York, dove Elkin si perde. Perché, come dice Perec, lo spazio è un dubbio: «non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo». Come hanno fatto le flâneuses nella storia, così fa Elkin in questo libro, simbolo di una storia culturale di donne, scrittrici e artiste, che hanno trovato la libertà personale e l’ispirazione impegnandosi a piedi nelle città. E’ stato pubblicato in cinque lingue.
Consigliato da Patrizia della Casa delle donne di Parma

LE PAROLE PER DIRLO – podcast di Rossana Campo (disponibile su Rai Play Sound) [PODCAST]

Quattro scrittrici, quattro donne vissute in epoche diverse che hanno cercato di uscire dai cliché imposti dai tempi e dalle famiglie pagandone un prezzo molto alto. Jeanette Winterson: “A mio padre piaceva guardare la lotta, a mia madre piaceva farla; non importava quale. Lei era nel giusto, e poche storie”. Adottata da una rigida coppia pentecostale va via di casa a 16 anni dopo aver confessato la sua relazione lesbica e subìto punizioni e prediche da parte della comunità religiosa. Si mantiene con un lavoro al mercato, vive in una vecchia auto e continua a studiare per entrare a Oxford. Ci riuscirà al secondo tentativo. Virginia Woolf: “Eccola, mia madre, al centro della vasta cattedrale che era l’infanzia; era là dall’inizio. E, s’intende, era il centro di tutto”. Il suo postumo “Momenti di essere. Scritti autobiografici”, scritto tra il 1907 e il 1940 si rivela un teatro della memoria in cui insegue il tempo, conscia del fatto che il passato continua a influire sul presente. Gertrude Stein, riferendosi alla morte della madre, afferma: “La famiglia aveva già l’abitudine di fare a meno di lei”. Figura di rilievo della letteratura modernista, la sua relazione con Alice Toklas, sua compagna, sua dattilografa e agente, agli inizi del ‘900 fece scalpore. Marie Cardinal: “Ti ho tirata fuori, vecchia mia, ti ho tirata fuori! […] Non solo avevo scoperto come esprimermi, ma avevo trovato da sola la strada che mi portava lontana dalla mia famiglia, dal mio ambiente, e mi permetteva di costruirmi un universo finalmente mio”.
Il suo romanzo, che dà il titolo al podcast, è la storia di una rinascita, di un graduale recupero di sé grazie a un lungo percorso psicoanalitico. Il padre assente, la madre carica di ossessioni, la sofferenza di Marie si trasferisce nel suo corpo condannandola, fino ai trent’anni, a vivere isolata dal mondo a causa di continue emorragie che la lasciano senza forze.
Consigliato da Giovanna della Casa delle Donne di Parma

ROSA PARKS di Mariapaola Pesce e Matteo Mancini, @beccogiallo 2020 [GRAFIC NOVEL]

Vivere il presente senza dimenticare il passato. Sembra che Mariapaola Pesce abbia pensato a questo, quando, sull’onda del #blacklivesmatter (di cui quest’anno ricorre il decennale), decide di scrivere la sceneggiatura della graphic novel dedicata a Rosa Parks. La “donna timida, ostinata e capace” entrata nella storia per aver dato un contributo fondamentale alle lotte per i diritti civili, portate avanti negli anni ’50 dalle comunità nere degli Stati del Sud dove ancora imperversava la segregazione.
Immaginata come un racconto nel racconto, la storia inizia in una sera di dicembre del 2014, quando un anziano tassista accompagna un giovane afro americano di successo ad una festa. Colpito dalla sua spavalderia e arroganza – neppure conosce il significato di I CAN’T BREATH, la scritta che porta stampata sulla felpa – decide di dargli una lezione raccontandogli gli eventi di cui è stato testimone molti anni prima a Montgomery, in Alabama.
Era il 1955, quando una sera, Rosa Parks, al ritorno dal lavoro, prende l’autobus 2857 diretta a casa. Si siede in una fila centrale, ma quando dopo poche fermate sale un passeggero bianco, il conducente le chiede di alzarsi per lasciargli il posto. Lo ha sempre fatto, di alzarsi, ma questa volta no, non lo fa. La misura è colma.
Dal suo arresto, durato per fortuna poche ore – l’avvocato bianco Cliffon Durr pagherà la cauzione per lei – prenderà il via uno sciopero di protesta che la NAACP, l’associazione per i diritti dei neri di cui Rosa fa parte, deciderà di continuare ad oltranza. Fino a che la Corte Suprema degli Stati Uniti, nel 1956 e all’unanimità, dichiarerà incostituzionale la segregazione.
Anni dopo, Rosa Parks dichiarerà: “Dicono sempre che non ho ceduto il posto perché ero stanca, ma non è vero. Non ero stanca fisicamente, non più di quanto lo fossi di solito alla fine di una giornata di lavoro…No, l’unica cosa di cui ero stanca era subire”.
Consigliato da Letizia della Casa delle donne di Parma